Enea è approdato a Castro. Lo documentano gli scavi

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Enea è approdato a Castro. Lo documentano gli scavi

Tratto da Il Giornale dell’Arte

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L’archeologo accademico dei Lincei racconta come, partendo dai versi di Virgilio, sia arrivato a scoprire sulla costa salentina il Santuario di Atena, la cui statua colossale è stata da poco restaurata, e dove, come descritto nel libro III dell’Eneide, sarebbe sbarcato l’eroe 

 

Era l’ultima carta da giocare, per evitare la soppressione della sua Diocesi, e monsignor Francesco Antonio Del Duca, vescovo di Castro, nelle Puglie, aveva fatto estremo ricorso a Virgilio che, nel libro III dell’Eneide, descrive il primo approdo in Italia di Enea proprio in questo sito all’ingresso del Canale di Otranto, dove sorgeva il tempio di Minerva. In data 30 ottobre 1793 il presule aveva inviato una lunga missiva al re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone, con un retorico commento al celebre testo latino, annunciando di aver finalmente identificato il tempio di Minerva, addirittura entro la grotta Zinzulusa che si apre sul mare a nord della cittadina, in uno scenario di straordinaria bellezza. Le stalattiti, secondo il monsignore, non erano altro che le colonne del tempio e sulle pareti della grotta si poteva leggere la presenza di figure e «in talune pietre vi si scorge scolpita la civetta».

Si trattava di pura fantasia e la Diocesi fu accorpata alla sede otrantina, ma a rivendicare il prestigioso collegamento con i versi dell’Eneide, sino dal Cinquecento si era sviluppata una competizione tra le città salentine della costa adriatica: BrindisiOtranto e infine Leuca dove sarebbe sbarcato san Pietro, anche lui in viaggio da Oriente, diretto, come Enea, sulle coste del Lazio. Sulla punta estrema della penisola salentina il principe degli Apostoli avrebbe trovato il tempio di Minerva e sulle sue rovine avrebbe poi fondato il Santuario di Santa Maria, de Finibus terrae appunto.

Al mio arrivo all’Università del Salento anch’io era stato colpito dai versi di Virgilio, in particolare nell’uso del termine «humilis Italia», a indicare la bassa costa salentina che i migranti troiani scorgono all’alba, dopo aver attraversato il tratto di mare che divide la nostra penisola dai monti Acrocerauni, nell’attuale Albania. «Umile Italia» era anche l’espressione di Dante, nel canto I dell’Inferno, a indicare l’umiliazione della Patria che sarà salvata dal Veltro e poi Pasolini, nella poesia «Le ceneri di Gramsci», a riproporre la stessa immagine: «Ah, rondini, umilissima voce,//dell’umile Italia!», come metafora dell’innocenza di un popolo emarginato dalla Storia.
La colossale statua di Atena, della II metà del IV secolo a.C., nel Museo Archeologico di Castro dopo il restauro eseguito da Mario Catania grazie alla Fondazione Banca Popolare Pugliese. 
Mi ero chiesto se il tempio di Minerva fosse soltanto un’invenzione poetica di Virgilio, ma l’antico nome di Castro era Castrum Minervae e pure il Poeta aveva descritto con grande precisione gli scogli turriti sui quali si infrangono le onde spumose del mare, il porto protetto dai venti orientali e infine il tempio sull’acropoli (arx) che dominava il porto: «Crebrescunt optatae aurae portusque patescit iam propior templumque adparet in arce Minervae» («Le brezze sperate rinforzano, ormai vicino si schiude un porto, e sulla rocca si profila il tempio di Minerva», traduzione di Vittorio Sermonti).

La questione ha trovato infine la sua definitiva soluzione nel 2000, quando lo scavo delle trincee per la posa delle condutture fognarie permise di intercettare, nella zona sud-est della cerchia muraria di Castro, i blocchi delle fortificazioni ellenistiche. Grazie alla provvida acquisizione, da parte del Comune, dell’area indicata come fondo Capanne, fu possibile iniziare una serie di campagne di scavo nel corso delle quali si portò alla luce, già nel 2008, il bronzetto di Atena con elmo frigio, una scoperta fondamentale, che permette di collegare il contesto alla tradizione troiana. A quel primo importante indizio fece seguito nel 2015 la scoperta del busto in calcare, appartenente alla statua colossale della divinità, e delle balaustre del recinto sacro recanti i rilievi a girali abitati («peopled scrolls»).

Le sculture, insieme ai materiali votivi, erano contenute entro una grande colmata, della potenza di più di 6 metri, creata nella prima metà del II secolo a.C., a riempimento dello spazio all’interno della nuova linea di fortificazione realizzata dai Romani, che ampliava il pianoro attraverso un sistema di terrazzamenti costruiti sul ripido pendio orientale dell’altura di Castro. Un passo di Livio (40, 19, 9-10) permette di inquadrare cronologicamente queste imponenti opere difensive delle coste salentine. Nel 181 a.C. il Senato di Roma, dopo aver ripristinato il governo provinciale della regione, decise di inviare in Puglia il pretore Lucio Duronio, al fine di provvedere alla difesa della costa adriatica, su richiesta di una delegazione di tarantini e brindisini che chiedevano protezione per i loro traffici in queste zone infestate dalla pirateria illirica. Di particolare importanza il ritrovamento delle sculture di IV secolo a.C. che ornavano il santuario, in particolare della statua di culto di Atena Iliaca, un’immagine colossale, alta 3,40 m, la più grande sinora rinvenuta in Magna Grecia.

Tutte le sculture sono realizzate in pietra leccese, una calcarenite a grana molto fine proveniente dalle vicine cave, che gli scultori tarantini, ai quali fu affidato l’arredo del santuario, dovettero scoprire proprio nel cantiere di Castro, apprezzandone quella duttilità e facilità di lavorazione che, quasi duemila anni dopo, permise le stravaganti creazioni del Barocco leccese. E barocchi sono i rilievi della balaustra, lunga 8 metri e alta almeno 1,40 che circondava l’area sacra. In un percorso creativo che nel IV secolo a.C. collega Taranto alla Macedonia, passando proprio da luoghi come Castro, la scoperta della natura nell’arte ellenica porta a inventare questi girali floreali in cui si muovono figure umane e animali, in cui una forza plastica «…come una linfa, rende turgidi gli steli, gonfia le foglie carnose e increspa i margini dell’acanto in ondulazioni ravvicinate e sovrapposte» (T. Ismaelli).

 

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